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«Il Vangelo e gli animali, una storia fraintesa»

Venerdì 20 marzo presso la Chiesa metodista di Via de’ Benci a Firenze (pressi Santa Croce) avrà luogo, partire dalle ore 19, l’incontro su «Il Vangelo e gli animali, una storia fraintesa» organizzato dall’associazione cristiana “Fiumi d’acqua viva – Pace, Giustizia e Salvaguardia del Creato“.
L’atteggiamento della teologia cristiana verso gli animali è stata, per secoli, tendente a considerarli come oggetti e cose di cui disporre, al pari di macchine che non provano nè dolore nè sentimenti. Ma davvero la Bibbia considera gli animali in questo modo? Il Signore non provvede amorevolmente verso tutte le creature? E qual’è veramente il ruolo dell’uomo nella Creazione? E’ un dominatore assoluto o un giardiniere a cui Dio ha affidato la cura di ciò che non è suo? Ne discuteremo insieme parlando dell’esegesi dei testi biblici, delle esperienze personali e di fede.
L’iniziativa è realizzata con il programma “Essere animali” di Controradio e vedrà la presenza del professor Luigi Lombardi Vallauri, gradito ospite.

Per informazioni: www.fiumidacquaviva.orgfiumidacquaviva@gmail.com – 3898858211 (Andrea)

Creato e Regno di Dio: tracce per una discussione sulla giustizia sociale alla luce del Vangelo – Trascrizione della relazione di Paolo Ricca

Conversazione con Paolo Ricca

Il 21 marzo si è svolto l’incontro con Paolo Ricca, pastore e professore emerito, già decano della Facoltà Valdese di Teologia. Vi presentiamo una sintesi della sua relazione scusandoci fin d’ora per l’eventuale poca chiarezza del discorso, dovuta al fatto che l’intervento non è stato registrato e non si tratta quindi di una trascrizione: la sintesi deriva dagli appunti presi durante la conversazione.

Questo discorso va diviso in tre parti, sono tre diversi argomenti: responsabilità della fede verso il creato, responsabilità della fede per la giustizia sociale e responsabilità della fede e regno di Dio, poiché si tratta di tre cose distinte. Cominciamo dalla responsabilità della fede verso il creato e diciamo subito che c’è una premessa: possiamo parlarne in questi termini se confessiamo di credere nel Dio creatore. Da cui deriva che la natura non è divina, poiché è creata. Noi siamo un misto di natura e cultura, la terra è madre ma è anche figlia. Spinoza affermava che Dio è la natura, cioè Dio non crea, ma è e con se stesso fa esistere tutte le cose. Dio quindi è in tutte le cose, perciò non è persona. Questo non e quello che noi crediamo. La fede nel Dio creatore comporta la secolarizzazione del creato, e la sua desacralizzazione rispetto alle culture precedenti che vedevano Dio in ogni fenomeno che non sapevano spiegare. Un’altra conseguenza è che la terra, creatura di Dio, appartiene a lui e non a noi (Esodo, 9). A noi compete di lavorarla e custodirla.
La responsabilità della fede per il Regno di Dio. Il Regno di Dio non è il ripristino di una teocrazia. Questo esclude Israele, che era una teocrazia, ma esclude anche il regno di Cesare. Noi possiamo desiderare, credere, invocare il Regno di Dio ma non lo possiamo costruire. Ci viene detto: “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e le altre cose vi saranno date in più”. Perché cercare, perché è qui, nascosto, ma qui. Cosa possiamo fare noi? Gesù si spiegava con parabole. Noi possiamo costruire parabole. Il ragazzo che da solo ha fermato i carri armati a piazza Tienanmen ha costruito una splendida parabola del Regno di Dio. Cercare il regno di Dio significa costruire delle parabole.
La responsabilità della fede nella giustizia sociale, è un tema relativamente nuovo nella coscienza cristiana collettiva, un movimento che è iniziato solo nell’800. Perché questa responsabilità è rimasta inevasa nelle chiese cristiane? Possiamo provare a dare tre risposte. A) La chiesa stessa, pur conservando sempre un carattere popolare, ha occupato come istituzione una posizione socialmente privilegiata. Ha quindi avuto difficoltà a identificarsi con le vittime di sistemi sociali ingiusti e a mobilitarsi in loro difesa. B) la fede nell’al di la con carattere risarcitorio ha reso meno impellente nei cristiani l’esigenza di stabilire in questo mondo la giustizia sociale. C) L’azione della chiesa si è sempre rivolta più alle persone che alle strutture, concretizzandosi nella carità piuttosto che nel combattere le cause dell’ingiustizia. Anche se questo non esclude che vi siano stati grandi interventi sulle istituzioni. Per es. la creazione degli ospedali è opera tipica della chiesa, la beneficenza, all’epoca della Riforma l’eliminazione della mendicità, non come si fa adesso in certi luoghi e situazioni (cioè facendo sparire dalle strade i mendicanti) ma fornendo ai mendicanti la possibilità di guadagnarsi da vivere. Cosa dobbiamo fare? Prima di tutto dare voce a chi non ce l’ha. Per fare questo è necessario immergersi nella condizione di chi soffre, immedesimarsi con loro. Poi, a livello sociale, transitare dalla democrazia politica alla democrazia sociale, cioè perseguire una più equa ripartizione della ricchezza, attraverso la democrazia economica.

Roma – ancora un attacco del terrorismo omofobico

Giampaolo Pancetti, Segretario di “Fiumi d’acqua viva”

<<Roma. Nuovo suicidio di un giovane omosessuale nella capitale. Un ragazzo di 21 anni si è tolto la vita lanciandosi nella notte tra sabato e domenica dall’undicesimo piano del comprensorio Pantanella, l’ex pastificio di via Casilina a Roma. “Sono gay – ha lasciato scritto il giovane in un biglietto – l’Italia è un Paese libero ma esiste l’omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza”>>. (Fonte: http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/10/27/news/giovane_si_suicida_nella_lettera_sono_gay_e_si_lancia_dal_comprensorio_pantanella-69577428/ ultimo accesso: 28 Ottobre 2013, ore 23:00)

Così comincia l’articolo di Repubblica del 28 Ottobre 2013. A voler commentare questo tragico evento si rischierebbe di dire le solite banalità. Proverò allora a farmi qualche domanda, nella speranza di trovare con voi qualche risposta. E prima di tutto mi chiedo, a questo punto, quale consolazione per un padre e una madre che all’improvviso si vedono portare via la vita del proprio figlio? Dovrei forse colpevolizzare la loro disattenzione o forse di non aver colto i segnali di un figlio al quale avrebbero, volontariamente o involontariamente impedito di confidare loro la propria omosessualità e di chiedere aiuto, con il suo terrore di vedersi rifiutato proprio dalle sue amate radici?

Forse dovrei colpevolizzare i suoi amici, o i suoi non-amici che lo hanno spinto a questo gesto insano, con la loro emarginazione e con chissà quali vessazioni e soprusi?

O forse dovrei colpevolizzare proprio questo ragazzo, incapace da una parte di affrontare con coraggio e dignità, la verità su se stesso, arrendendosi alla disperazione? Colpevole proprio di essere gay, che come ci ricorda la santa Chiesa Cattolica <<benchè non sia in sè peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata>> (Cura pastorale delle persone omosessuali – Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica n. 3)? Dunque colpevole di essersi arreso ad una inclinazione oggettivamente disordinata! Colpevole di se stesso!

Ma se Chiese cristiane, quali la Chiesa Cattolica e le Chiese protestanti Pentecostali (per citarne due tra le più diffuse nel mondo) sono le prime a condannare non solo gli atti omosessuali, ma anche lo stesso essere omosessuale (con una distinzione, mi viene da dire piuttosto ridicola e arbitraria), allora  chi proclamerà il Vangelo della buona notizia, la potenza d’amore di Dio che ci libera dalla schiavitù del pregiudizio, della violenza e dell’indifferenza?

Oggi, si legge, la procura ha aperto su questo fatto un fascicolo per istigazione al suicidio. È un passo avanti contro il fatalismo di un tragico atto. Però mi chiedo: non dovremmo dire più chiaramente che non si tratta di suicidio, e che è ancora troppo poco classificare questo evento come istigazione al suicidio? Forse, non è neppure sufficiente dire che si tratta di omicidio.

Quello accaduto è un attacco terroristico, parte di una strategia guerresca non organizzata. No, non ci rendiamo conto che siamo in guerra. Una guerra terroristica, fatta di incappucciati che non combattono a viso scoperto. Talvolta la violenza è un pestaggio, talvolta è una lettera anonima, talvolta sono le continue risatine e prese di giro sul posto di lavoro, lo scherno dei cosiddetti amici che ti fanno sentire sempre e comunque inadeguato. La colpa non è una legge sbagliata o un vuoto legislativo. Forse non abbiamo bisogno prima di tutto di legalizzare il matrimonio gay, nè di inasprire le punizioni per omofobia. È ancora troppo comodo rimandare la colpa alle istituzioni che non intervengono e che non fanno leggi adeguate.

Invece io voglio dire che la colpa è tua, tua di te che leggi in questo momento, tua che non ti rendi conto della guerra in atto e che in questa guerra non c’è posto per la neutralità, tua perchè non fai niente affinchè si diffonda una nuova cultura e una nuova mentalità di accoglienza di quello che definiremmo “diverso”, tua che non fai niente per abbattere il muro del giudizio, del pre-giudizio e della solitudine.

Certo, le istituzioni, la legge devono fare la loro parte. Noi dobbiamo fare la nostra a cominciare dal linguaggio. Basta continuare a parlare di omosessualità! È riduttivo riassumere il complesso di emozioni, desideri e sentimenti di un essere umano alla visione sessuale. Sarebbe già qualcosa parlare di omo-affettività, con un accento maggiore su sentimenti di amicizia, sensibilità e amore. Ho conosciuto una infinità di persone omosessuali, so quanto siano capaci di amore, quanto siano sensibili, e quanto forte fosse la loro spiritualità. Mi hanno aiutato a capire meglio quel Gesù che voleva abbattere le divisioni di ogni tipo, tra religiosi e pagani, schiavi e liberi, uomini e donne… eteroaffettivi e omoaffettivi!

Non posso concludere senza un pensiero rivolto al babbo e alla mamma di questo ragazzo. Non chiudetevi nella colpa. Non avete colpa. Nessuna colpa. E neanche cercate la mano del terrorista. Anche lui è figlio di questa mentalità distruttiva. C’è una guerra in atto e se adesso non scendete in guerra a fianco di questo vostro figlio martire, che ha dato la vita per la pace, se non imbracciate le armi della lotta per una nuova visione dell’integrazione e della non-emarginazione, allora la vostra colpa sarà davvero di averlo lasciato solo, solo, solo. E la logica del terrorismo omofobico ancora una volta avrà vinto.

Giampaolo Pancetti

“Il buon pastore dà la sua vita per le pecore”

Predicazione tenuta da Andrea Panerini il 16 aprile 2010 a Casa Cares in occasione del ritiro-convegno dell’Associazione “Fiumi d’acqua viva”

Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), perché è mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Ho anche altre pecore, che non sono di quest’ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest’ordine ho ricevuto dal Padre mio». Nacque di nuovo un dissenso tra i Giudei per queste parole. Molti di loro dicevano: «Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo ascoltate?» Altri dicevano: «Queste non sono parole di un indemoniato. Può un demonio aprire gli occhi ai ciechi?»
In quel tempo ebbe luogo in Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno, e Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei dunque gli si fecero attorno e gli dissero: «Fino a quando terrai sospeso l’animo nostro? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non lo credete; le opere che faccio nel nome del Padre mio, sono quelle che testimoniano di me; ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo uno».

Gv. 10,11-30

Cari fratelli e care sorelle,
questa pericope che costituisce il brano della predicazione di questa domenica è un testo molto conosciuto nella cristianità. In quasi tutte le liturgie delle chiese cristiane è collocato la seconda o la quarta domenica dopo la Pasqua: tutti noi lo conosciamo eppure poche volte ci siamo soffermati veramente sul suo significato profondo. E’ facile imbattersi in illustrazioni e sermoni allegorici  dove si tende a banalizzare la portata teologica del “buon pastore”, riducendo Gesù a una figurina da scambiare con altre. Questo brano invece è centrale in tutta la teologia giovannea ed è uno degli elementi fondamentali di tutto il Nuovo Testamento.
In greco il termine “kalòs” più che “buono” significa “generoso” oppure “perfetto”: la perfezione di Gesù, che lui ci offre perchè noi la possiamo imitare, è la perfezione dell’agape, dell’amore cristiano che si realizza – nella sua più alta espressione –  nella croce “scandalo per i giudei, follia per i greci” (1Cor. 1,23), nel completo dono di sé nei confronti degli altri, nel sacrificio più alto.
Il riferimento, qui, alla morte di Gesù è evidente, ma – più di ogni altra cosa – è evidente il senso, il significato di questa morte: Gesù muore affinchè nessuno più possa morire, perde la vita per donarla agli altri, perisce affinchè nessuno possa perire, subisce una violenza inaudita perchè non vi sia più violenza, subisce lo scherno dei soldati e del popolo perchè non vi possa essere più alcuna discriminazione ma rispetto per la dignità di ogni essere umano, subisce un processo iniquo perchè nessuno possa più giudicare, muore solo – abbandonato dai suoi – perchè nessuno sia lasciato più solo di fronte alla sofferenza.
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“Il suo ricordo rimarrà a lungo nei nostri cuori”

Cronaca della cena del 12 marzo

Venerdì 12 marzo, presso il Centro comunitario valdese di Firenze, ha avuto luogo l’annuale cena sociale dell’Associazione “Fiumi d’acqua viva – Evangelici su Fede e Omosessualità” che quest’anno aveva come tema un versetto del Vangelo di Luca: “Gesù disse: Zaccheo scendi, presto, perchè oggi debbo fermarmi a casa tua” (Lc. 19,1-10). La cena, realizzata grazie al contributo fondamentale di Maria Rossi e Sara Sansone della Comunità valdese che hanno cucinato, ha visto la partecipazione di più di venti persone evangeliche, cattoliche e anche agnostiche: omosessuali, eterosessuali, bisessuali e incerti provenienti da almeno quattro province toscane oltre ai tantissimi fratelli e sorelle che – pur non potendo partecipare fisicamente per problemi familiari, lavorativi o di salute – sono stati in comunione nella preghiera e hanno mandato i loro messaggi e contributi economici. La cena è stata un culto evangelico riportato alla convivialità delle prime comunità cristiane: la Parola è stata annunciata tramite letture bibliche tra una portata e l’altra, la predicazione è stata collettiva perchè ogni partecipante ha ricevuto un biglietto con un versetto della Scrittura ed è stato invitato a commentarlo pubblicamente e al termine della serata è stata celebrata la Cena del Signore. Il tutto accompagnato da numerosi canti ed inni durante tutta l’agape che hanno mostrato il ringraziamento dei partecipanti al Signore per questa profonda e toccante serata, occasione di incontro con le comuntà evangeliche della città e in maniera particolare con quella valdese.
“E’ stata davvero una serata speciale, inattesa – ha detto Lucilla Ricca, sorella del teologo Paolo – curata con vero spirito evangelico. Il suo ricordo rimarrà a lungo nei nostri cuori e dovrebbe servire d’esempio su come si realizza un confronto sincero e cristiano e non finalizzato al chiasso o al protagonismo personale: sono fiera di essere socia di questa associazione, per la testimonianza di Cristo che prova sempre a dare, in mezzo alle mille difficoltà”.
I partecipanti si sono poi trattenuti in fraternità oltre la mezzanotte per un confronto informale tra le varie esperienze di vita e discutendo della realtà fiorentina e nazionale. La Segreteria dell’Associazione desidera ringraziare tutti i partecipanti, i volontari e le volontarie che hanno reso possibile questa iniziativa e il Concistoro della Chiesa valdese di Firenze cha ha messo a disposizione i locali.

I prossimi appuntamenti con l’Associazione “Fiumi d’acqua viva – Evangelici su Fede e Omosessualità” sono Venerdì 26 marzo alle ore 21.00 presso il Centro Comunitario Valdese di Firenze (Via Manzoni, 21): incontro biblico con don Alfredo Jacopozzi, responsabile culturale dell’Arcidiocesi cattolica di Firenze su “Ma il padre disse ai suoi servi: Presto, portate qui la veste più bella, e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi” (Luca 15,22). Il 17 e 18 aprile avrà luogo il nostro ritiro-convegno a Casa Cares (Reggello-Firenze) su Omoaffettività e benedizioni delle coppie dello stesso sesso con don Franco Barbero, il teologo valdese Fulvio Ferrario e quello episcopale Gianluigi Gugliermetto. E’ ancora possibile prenotarsi attraverso i nostri contatti. L’associazione, infine, sta preparando – in collaborazione con varie chiese ed associazioni fiorentine – la settimana di preghiera contro l’omofobia (11-16 maggio) che culminerà nel culto di domenica 16 maggio.

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