Marta Torcini

Nata a Firenze nel 1955, è laureata in Giurisprudenza, iscritta all’Ordine dei Giornalisti Pubblicisti di Firenze, ha un master in “Sostenibilità e gestione dell’ambiente” conseguito nel 2007 alla Staffordshire University (UK). Ha esercitato la professione forense. Dal 2001 al 2006 ha insegnato lingua italiana a Mekele (Etiopia) e svolto attività di volontariato e ricerca giuridica; cultore della materia in diritto ecclesiastico e diritto canonico alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Firenze, collabora con le Università di Bologna e di Firenze e si occupa di libertà religiosa. Volontaria nella LAV (Lega Anti Vivisezione), è stata dal 2010 al 2013 Segretario di “Fiumi d’acqua viva” per poi essere eletta, nel giugno 2013, Presidente per il triennio 2013-2016.

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torcini3E’ passato diverso tempo (circa tre anni) da quando mi sono iscritta a Fiumi d’Acqua Viva, e poi ho assunto successivamente gli incarichi di segretario e ora di Presidente della nuova Segreteria uscita dall’assemblea del giugno scorso. Finora, nonostante le insistenze di alcuni soci e del curatore del sito, non avevo ancora trovato né il tempo, né a onor del vero, la volontà di scrivere una mia testimonianza, che sapevo mi sarebbe costata una certa fatica.
Devo infatti ammettere e riconoscere prima di tutto davanti a me stessa che il mio atteggiamento nei confronti degli omosessuali e dei diversi in genere, fossero senza casa o rom, disagiati di vario tipo, oppure persone con un handicap fisico o mentale, non è sempre stato quello che ho adesso e che ho maturato attraverso il guardarmi dentro e domandarmi fino a che punto ero capace di essere coerente.
Per molti anni ho dichiarato il mio ateismo come una bandiera, quasi un baluardo contro l’irrazionale. Ho creduto fermamente nella Ragione dell’uomo, piena di quell’illuminismo contemporaneo e superficiale molto diffuso, e fiduciosa nella bontà fondamentale dell’essere umano. Mi dichiaravo rispettosa dell’ambiente e degli animali, facevo la raccolta differenziata dei rifiuti in modo rigoroso, dichiaravo il mio rispetto per tutti i diversi, appellandomi alla necessità che le strutture pubbliche istituzionali intervenissero a garantirli e ne sostenevo le politiche democratiche aperte e fattive. Mi ero persino fatta carico di un cane preso al canile.
Nella sostanza tutti dovevano intervenire tranne io, che mi tenevo accuratamente lontana da persone, partiti politici e associazioni che potessero coinvolgermi in un fare in prima persona. Non avevo, e non ho mai voluto neppure un figlio, che temevo avrebbe condizionato la mia vita. Mi sentivo però parte dell’Universo, e non ho mai temuto l’essere soggetta alle trasformazioni (per es. la vecchiaia e i limiti fisici che comporta) né la morte, sempre vissuta come qualcosa di inevitabile e quindi qualcosa di cui non è necessario preoccuparsi: si muore una volta sola e si è franchi per il seguito, come dice mio marito.
Poi, a 46 anni (della serie “non è mai troppo tardi”), il trasferimento in uno dei paesi africani fra i più poveri del mondo e l’incontro quotidiano e inevitabile con tutte le diversità possibili e immaginabili, la miseria più disperante e l’invalidità più ripugnante, il tormento degli animali e la distruzione consapevole dell’ambiente,  dettata dalla necessità di mettere qualcosa nel piatto dei figli almeno una volta al giorno, spesso senza riuscirci. Mi sono dibattuta, ho amato e odiato al tempo stesso quella gente e quel paese, come una prigioniera che, vittima della sindrome di Stoccolma, ama e odia il suo aguzzino. Al tutto si sono aggiunte altre vicende che mi hanno portato al limite della depressione, e però mi hanno spinta a cercare aiuto e conforto fra persone che non pensavo potessero darmi tanto: persone di fede e di grande umanità.
Ho trovato in Dio la forza di non autodistruggermi, e la volontà di capire cosa avevo sbagliato. Il primo passo è stato accettare, dapprima con rassegnazione e poi con coraggio e volontà di dare il meglio, gli eventi. Ma non sarebbe bastato, se non fosse arrivato il dono della fede, un dono cercato ma che nonostante tutto non avevo ancora, e l’amore, non per una persona soltanto, ma per tutto ciò che mi circonda. Un modo nuovo di sentirmi parte dell’Universo.
Ho cominciato a guardare dentro me stessa, a individuare cosa mi faceva reagire con l’irrigidimento psicologico e l’allontanamento fisico e ho cominciato non dico a cercare, ma semplicemente a non evitare quello che mi metteva a disagio. Così, più per caso che per libera scelta mi sono trovata coinvolta nell’attività dell’associazione Fiumi d’Acqua Viva, non ho rifiutato l’invito che mi era stato rivolto a frequentare un’associazione animalista, mi sono lasciata prendere anche dalla politica.
Oggi sono una persona fondamentalmente nuova: ho una figlia, tanti amici omosessuali che frequento senza più vederli come qualcosa di diverso e senza preoccuparmi di come li e ci vedono gli altri, sono attiva nella mia Chiesa, non ho rifiutato l’impegno del ruolo di Presidente nell’Associazione, sono una attivista animalista (faccio educazione animalista nelle scuole e mantengo due cani e cinque gatti), e mi occupo di politica. Sono certamente sempre essenzialmente la stessa di 15 anni fa, ma ho un approccio completamente diverso al mondo, le mie scale di valori sono cambiate e in cima non c’è più la protezione delle mie fragilità, e scelgo quotidianamente, con serenità, di confrontarmi con tutti i diversi. Che poi sono tutti quelli che incontro ogni giorno. A proposito, non credo più che l’uomo sia fondamentalmente buono, anzi. Credo però fermamente che l’affidarsi alla Grazia divina e seguire la strada che Dio ci mette davanti, con buona volontà anche se non è esattamente quello che volevamo, ci porta a quello di cui ognuno di noi ha davvero bisogno. Io avevo bisogno di scoprire la vera me stessa, di ritrovarla negli altri, fossero umani o animali, e con l’aiuto di Dio ci sto riuscendo.

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