“Piego le ginocchia davanti al Padre”
Predicazione tenuta da Andrea Panerini il 16 maggio 2010 nel Tempio valdese di Firenze in occasione del culto contro l’omofobia
Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen.
Efesini 3,14-21
Cari fratelli e care sorelle,
avvicinandosi a questo testo non possiamo che riflettere sulla preghiera, in quanto questi versetti non sono altro che una vera e propria dossologia cioè una formula liturgica mediante la quale si loda Dio in sé o nella persona di Cristo: stilisticamente è di notevole efficacia e in molte chiese cristiane è utilizzata in alcune ricorrenze dell’anno ecclesiastico o per particolari veglie di adorazione. Un brano, però, che ha fatto discutere gli studiosi per secoli nella sua complessità redazionale. La questione riguardante l’autore della epistola agli Efesini è stata posta alla fine alla fine del XVIII secolo ma già Erasmo da Rotterdam aveva osservato la singolarità e l’originalità stilistica e di contenuto di questa lettera rispetto al resto del corpus paolino. Oggi il suo carattere deutero-paolino è quasi unanimamente accettato da esegeti di tutte le confessioni cristiane. Il fatto che una epistola sia deutero-paolina, quindi non scritta dalla mano di Paolo ma da uno dei suoi collaboratori o da una persona della scuola teologica dopo la morte dell’apostolo, non significa che non possa riprendere materiale paolino orale o scritto e che quindi rispecchi una sensibilità presente nella scuola che faceva riferimento stretto a Paolo stesso. Tuttavia Efesini indica una rappresentazione posteriore dell’apostolo: non vi è più la contestazione dello status dell’apostolato di Paolo né vi sono presenti i gravi conflitti tra giudeo-cristiani (ebrei convertiti al cristianesimo) e pagano-cristiani (i cristiani fuori dall’ambito giudaico) che invece sono importanti nelle lettere che l’analisi ha rilevato essere scritte o dettate da Paolo in persona. L’epistola viene datata tra l’80 e il 100 d.C. e le lettere di Ignazio di Antiochia (ca. 110 d.C.) sembrano riflettere una conoscenza dell’epistola. Il luogo di redazione sembra essere stato l’Asia minore.
L’argomento teologico centrale di questa epistola è la chiesa, intesa sempre come chiesa universale e non come comunità locale anche se qualche riferimento alle situazioni concrete si può anche cogliere nel sottotesto. Bisogna però stare attenti a non confrontare troppo nettamente la visione ecclesiocentrica di Efesini a quella cristocentrica degli scritti propri di Paolo: l’autore di questa lettera difende nettamente il primato cristologico (Cristo sopra ogni cosa) sull’ecclesiologia. Cristo è la fonte primaria, la chiesa è uno strumento, essenziale ma umano, del quale Dio – comprensivo e paterno nei confronti della nostra limitatezza – si serve per testimoniare l’Evangelo nel mondo. La chiesa è una comunità di uomini e pertanto è tutt’altro che infallibile, ma dobbiamo essere consapevoli che le diversità di vedute su questo tema tra le varie confessioni cristiane ci sono e sono anche, talvolta, molto profonde. Ma se i cristiani sono divisi – in maniera scandalosa – sull’ecclesiologia, non dovrebbero esserlo sulla preghiera. Purtroppo anche qui non sempre è chiaro verso chi deve essere rivolta la preghiera stessa ma preferisco non entrare in questo problema: la preghiera che abbiamo letto è verso Dio, che è Padre e Madre, ed unisce, deve unire tutti i cristiani per poter unificare la chiesa universale di Cristo che ha in Lui il suo unico, vero fondamento.
Una domanda si pone in maniera imperativa: noi cristiani possiamo dire con purezza di cuore che davvero cerchiamo sempre di essere strumenti del Signore nella testimonianza del suo Evangelo? Non ci facciamo guidare dal nostro interesse particolare, dalla nostra ambizione, dalla nostra presunzione, dalla nostra autorefenzialità, dal nostro amor proprio, dai meschini interessi “di bottega” invece di proclamare con gioia la gloria del nostro Salvatore? Di quante altre divisioni saremo protagonisti nel mondo e dentro le nostre comunità, divisioni che sono scandalose al cospetto del Padre e della stessa umanità? Le nostre chiese rispecchiano, o almeno tentano di rispecchiare l’ideale prospettato da questo brano biblico? Ebbene la risposta che dobbiamo a malincuore dare è un chiaro no. Tuttavia Dio è consapevole della nostra infedeltà e della nostra disubbedienza nei suoi confronti e per questo, nella fede, ci libera dalla sottomissione alla Legge: solo a Lui dobbiamo essere sottomessi e, nella nostra imperfezione, l’adempimento pedestre della Legge diventa un elemento del tutto secondario: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero» (Mt. 11,28-20). Solo in questa nuova consapevolezza possiamo trovare pace e possiamo rivolgere il perdono nei confronti di noi stessi, spesso giudici molto più severi o indulgenti di quello che la nostra trasgressione meriterebbe in un giudizio imparziale.
“Piego le ginocchia davanti al Padre” scrive l’autore della lettera: non è servilismo o una sottomissione remissiva ma un atto di fiducia nei confronti di Dio. Solo davanti a Lui le ginocchia si devono piegare, perchè nel nostro atto di abbandono il Signore ci rialza e ci abbraccia per farci recuperare la nostra dignità di figli e figlie di Dio. Non dobbiamo chinarci per accettare le leggi ingiuste, il razzismo, l’omofobia, le disuguaglianze: ogni essere umano trae la sua dignità inviolabile dall’essere figli e figlie dell’unico Padre che ci rende tutti e tutte fratelli e sorelle. Nell’obbedienza all’iniquità, nel giudicare gli altri, nel cedere ai pregiudizi nei confronti di un rom, di un africano, di uno straniero, nel discriminare una persona omosessuale o transessuale, nell’accettare il trionfo di un sistema economico che mette al centro la produttività e il profitto e non l’essere umano, ecco in tutto ciò noi non stiamo eretti e trionfanti quali la nostra presunzione ci fa credere di essere, ma siamo prostrati alle logiche perverse del peccato di questo mondo e questo impedisce di inginocchiarci di fronte a Dio nella certezza che Lui è l’unico che può farci rialzare. Non c’è peccato dove c’è amore o – come è scritto nella prima epistola di Giovanni – “nell’amore non c’è paura” (1Gv. 4,18): la paura nasce dalla nostra incapacità di amare gli altri e dalla nostra lontananza dal Signore perchè solo chi ama può conoscere veramente Dio e tentare di glorificarlo con la propria imperfetta vita. Il Signore questo ci chiede ed è l’unica via per contrastare violenza, razzismo e omofobia: che noi possiamo provare ad amarci come Lui ci ha amati dalla croce. L’amore è l’unico vero comandamento per adempiere alla sua Legge. L’amore che è inginocchiato davanti al nostro compagno, alla nostra compagna. L’amore che è inginocchiato di fronte a un bambino che piange. L’amore che è inginocchiato nei confronti della croce, fonte della grazia di Dio che deve nutrire e illuminare la nostra vita. L’amore che è inginocchiato di fronte agli inermi e ai bisognosi e che è invece sta ben eretto di fronte ai potenti, ai presuntuosi, ai violenti. L’amore che risorge e che vince. Dio non può che benedire la sua creazione in tutte le sue componenti perchè ha un progetto di amore e di comprensione per ognuno e ognuna di noi.
O Signore, fonte di tutte le nostre grazie e delle nostre gioie, facci comprendere l’importanza della nostra umiltà nei tuoi confronti e facci resistere alle lusinghe della nostra autogratificazione: per questo vogliamo pregarti, per questo vogliamo lodarti. Amen.
Andrea Panerini
Pubblicato il 24 Maggio 2010, in Associazione, Chiesa valdese, firenze, Teologia con tag 2010, Chiesa valdese, cristo, culto, efesini, omofobia, panerini, paolo. Aggiungi il permalink ai segnalibri. 2 commenti.
Senza parole……sono felicissima di averti incontrata E Per questo lodo Dio,perchè ho trovato delle persone come te che hanno nel cuore il mio stesso desiderio di amore Cristiano e visione di amore in Dio….questo genera in me pace profonda..Valeria .
grazie mille valeria, le tue parole sono di molto conforto nella comune convinzione che bisogna rimettere la propria vita nelle mani del Padre.
Andrea